È l’unico mollusco DOP italiano. Allevato nella Sacca degli Scardovari, dove Adriatico e Po si incontrano, deve fare i conti con l’assenza delle piogge, che fa aumentare salinità e temperatura dell’acqua, distruggendo l’ecosistema. Il cambiamento climatico mette a rischio più di 5mila tesori del made in Italy.

La Cozza di Scardovari DOP è una delle innumerevoli eccellenze gastronomiche italiane. Caratteristiche uniche, come le carni lucide e una polpa di grande sostanza – che da disciplinare deve rappresentare almeno il 25% del peso totale del mollusco – e un gusto dalla dolcezza peculiare, anche per il basso contenuto in sodio, in equilibrio con carni particolarmente morbide, con elevata succulenza, la rendono l’unico mollusco Dop in Italia, come raccontato quest’anno dal progetto di sviluppo realizzato dal Consorzio di Tutela della Cozza di Scardovari DOP in collaborazione con Fondazione Qualivita e Eurofishmarket.

La natura però, si sa, non guarda in faccia a nessuno e la grave situazione di siccità che sta colpendo con particolare forza il Nord Italia sta avendo effetti devastanti anche sulla filiera di cozze e vongole, che nella zona del Delta del Po è tradizione ed eccellenza, oltre che fonte di sostentamento per numerose famiglie.

Il motivo? Senza piogge non viene garantito il ricambio idrico e aumentano sia la salinità delle acque sia le temperature, con effetti devastanti soprattutto in ecosistemi fragili come quello della Sacca degli Scardovari, la zona in provincia di Rovigo in cui la DOP viene allevata.

«Solo una piccola parte della laguna ha funzionato normalmente, per il resto abbiamo avuto grossi problemi. I danni ci sono, è sicuro, dobbiamo soltanto quantificarli», ha confermato Paolo Mancin, presidente del Consorzio di tutela.

La siccità minaccia le eccellenze: il caso della Cozza di Scardovari DOP
«La Sacca si trova all’incrocio tra il Po e l’Adriatico – ha proseguito il presidente – Per questo la nostra acqua è salmastra, dolce e salata insieme. Quest’anno, non essendoci stati i nutrienti solitamente apportati dal fiume Po, abbiamo avuto enormi difficoltà con le nostre cozze, che non si sono riempite».

È bene dirlo: purtroppo gli effetti del cambiamento climatico sono già una costante sul Delta del Po. Un esempio è dato proprio dalla stagione di raccolta delle cozze. Oggi va da maggio a metà luglio, ma fino a dieci anni fa era anticipata di almeno un mese. «Il cambiamento climatico sta influendo pesantemente sulla nostra attività – ha proseguito Mancin – La laguna si surriscalda e le cozze muoiono. Tempo non ce n’è più, serve intervenire. Ci siamo impegnati per promuovere il nostro prodotto e a causa della siccità non siamo riusciti a soddisfare le richieste»

Le richieste inascoltate
E dire che il Consorzio aveva già sollevato le sue preoccupazioni alle istituzioni, senza che però si sia mai trovata una soluzione. «Quanto sta accadendo è la goccia che ha fatto traboccare il vaso – ha evidenziato Mancin – Da tempo chiediamo alla Regione che faccia dei canali. I progetti così come i fondi ci sono, ma i vincoli in un’area così fragile sono forti e i lavori non sono mai partiti. La siccità non ha fatto altro che accentuare problemi che già c’erano e che conoscevamo».

I lavori di cui parla Mancin riguardano la realizzazione di una rete di canali che permetterebbero all’acqua dolce, anche in condizioni complesse come quelle attuali, di arrivare in laguna. «Se gli scavi fossero stati fatti per tempo – ha proseguito il presidente – sicuramente di cozze ne avremmo fatte di più. Il Delta del Po ha bisogno di manutenzione costante. Lavori importanti non da improvvisare, ma da programmare. La situazione è semplice: se non arriva l’acqua dal Po, la laguna muore e con lei le cozze. Tanti produttori pensano già di lasciare. Non è bello lavorare per un anno per poi non portare a casa nulla».

La sostenibilità delle cozze
E pensare che, secondo recenti studi, le cozze, così come anche le vongole e le ostriche, non sono soltanto ricche di proteine nobili e acidi grassi polinsaturi, ma giocano un ruolo importante proprio nella mitigazione del cambiamento climatico. Sono, infatti, dice uno studio realizzato dai ricercatori del Crea, sistemi di produzione di proteine animali efficienti e a basso impatto ambientale, in termini di emissioni di CO2. Inoltre, sorprendentemente, i molluschi degli allevamenti contribuiscono a regolare i cicli dei nutrienti nella colonna d’acqua e sul fondo, il che rende questi animali fondamentali nel contrastare l’eutrofizzazione (l’accrescimento degli organismi vegetali, legato alla presenza nell’ecosistema acquatico di dosi troppo elevate di sostanze nutritive come azoto, fosforo o zolfo, provenienti da fonti naturali o antropiche) delle aree costiere. Il punto di forza della molluschicoltura e la ragione principale del suo ridotto impatto ambientale, è la totale assenza dell’uso di mangimi, poiché i molluschi si nutrono, filtrando il fitoplancton, naturalmente presente nell’acqua di mare, e particolarmente abbondante nelle zone costiere, dove sono situati gli allevamenti.

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